Apr 16

Breve guida ai licenziamenti collettivi

Articolo di Pietro Scudeller pubblicato ne Il Giurista del Lavoro n. 4/2010

Il presente lavoro vuol essere una guida molto succinta alla procedura di licenziamento collettivo, con nessuna pretesa di completezza, ma anzi con pretese di snellezza, al fine di costituire una introduzione alla disciplina, con uno sguardo soltanto ad alcune tra le pronunce giurisprudenziali più rilevanti.
Nozione e campo di applicazione
La nozione di licenziamento collettivo si trova nell’art. 24 della Legge 223/1991: esso ricorre quando, “in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” il datore di lavoro che abbia più di quindici dipendenti “intende effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia” .
Il collocamento in mobilità si ha invece quando un’azienda già ammessa al trattamento di integrazione salariale straordinaria (C.I.G.S.) non sia in grado di garantire il reimpiego di tutti o alcuni dei lavoratori sospesi (art. 4 legge citata).
In effetti è sufficiente l’intenzione (purché reale e non fraudolenta ) di procedere ad un numero di almeno cinque licenziamenti nell’arco temporale indicato, indipendentemente dal numero dei licenziamenti effettivamente irrogati al termine della procedura, che possono risultare anche meno di cinque.
“L’eventuale riduzione del numero delle eccedenze inizialmente comunicato costituisce un auspicabile esito fisiologico della procedura” e senza che ciò infici la natura collettiva del licenziamento.
L’istituto si applica solamente alle imprese e datori di lavoro che abbiano più di 15 dipendenti , esclusi i casi di scadenza di rapporti a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e i casi di attività stagionali e saltuarie.
Vi è peraltro contrasto in dottrina e in giurisprudenza tra chi ritiene che il criterio di computo debba essere quello dell’art. 1 L. 223/91, e pertanto la media dei dipendenti occupati negli ultimi sei mesi, e chi invece preferisce indicare il criterio in uso per i licenziamenti individuali quindi facendo riferimento al numero dei dipendenti occupati al momento dell’avvio della procedura.
Sul versante dei lavoratori, invece, va tenuto presente che la L. 236/1993, all’art. 8, 2° comma, ha esteso l’applicabilità della disciplina anche ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro; inoltre i licenziamenti collettivi possono coinvolgere “gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti”. Se ne dovrebbero quindi ritenere esclusi i dirigenti, non mancando tuttavia autorevoli opinioni nel senso della loro inclusione. La procedura va seguita anche in caso di licenziamenti collettivi che conseguano alla cessazione totale dell’attività, anche da parte della eventuale curatela fallimentare.
Indennità di mobilità per i licenziati
In entrambi i casi la procedura è (quasi) la stessa ed ai lavoratori, licenziati ovvero “messi in mobilità”, spetta l’indennità di mobilità : per un periodo massimo di 12 mesi, elevato a 24 per gli ultra quarantenni e a 36 per gli ultra cinquantenni, l’Inps corrisponde loro il 100% del trattamento di Cassa Integrazione Guadagni (che a sua volta è pari all’80% della retribuzione) per i primi 12 mesi e l’80% di esso (pari quindi al 64% della retribuzione) per i mesi dal 13° al 36° (con determinati massimali). Agli stessi lavoratori si applicano inoltre gli incentivi per la rioccupazione previsti per gli iscritti nelle liste di mobilità dall’art. 8 L. 223/91: possibilità di assunzione a termine per 12 mesi con contribuzione prevista per gli apprendisti; in caso di trasformazione a tempo indeterminato, è prevista la contribuzione ridotta come sopra per (altri) 12 mesi con, in aggiunta, un contributo mensile per il nuovo datore di lavoro pari al 50% dell’indennità di mobilità che spettasse al lavoratore per un massimo di 12 mesi, o 24 se il lavoratore ha più di 50 anni; la contribuzione ridotta spetta invece per diciotto mesi per gli assunti a tempo indeterminato fin dall’origine.
L’art. 7, comma 5, L. 223/91 prevede quanto segue: “I lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell’indennità”.
La corresponsione comporta ovviamente la cancellazione dalla lista dei lavoratori in mobilità.
Se entro 24 mesi dalla corresponsione il lavoratore viene assunto, presso soggetti privati o pubblici, è dovuta la restituzione di quanto percepito.
Al lavoratore licenziato spetta poi anche il diritto di precedenza nelle riassunzioni presso la medesima azienda nei sei mesi successivi al licenziamento (art. 8, comma 1, L. 223/1991).
Il presupposto
Il presupposto (“una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”) richiede una effettiva e non transeunte riduzione di personale, senza necessità di una ristrutturazione materiale, né di un ridimensionamento dell’attività aziendale. Esso non viene meno per successivi effettuazione di straordinario, appalti a terzi, o assunzioni in posizioni diverse da quelle soppresse.
L’onere della prova della sussistenza di questo presupposto sostanziale grava sul datore di lavoro.
La valutazione di non poter ricorrere a misure alternative, di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità e di non ritenere possibile una utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa costituisce un giudizio di convenienza economica insuscettibile di controllo giudiziario e rilevante solo come oggetto necessario dell’informativa e dell’esame congiunto con i sindacati.
La procedura
La violazione delle norme procedimentali determina l’inefficacia dei licenziamenti e l’applicabilità dell’art 18 Stat. dei Lav. (onere di reintegrazione effettiva e risarcimento del danno): è quindi importante rispettarle rigorosamente.
La comunicazione iniziale
La procedura inizia con l’obbligatoria comunicazione scritta alle r.s.a. e ai rispettivi sindacati o, in mancanza, ai sindacati territoriali maggiormente rappresentativi e, in ogni caso, alla Direzione Provinciale (o Regionale se le unità produttive interessate sono dislocate nel territorio di più province) del Lavoro.
La decisione di procedere alle riduzioni può partire anche dalla società controllante di un gruppo d’imprese, per i dipendenti di aziende controllate.
La comunicazione deve contenere: i motivi che determinano la situazione di eccedenza; i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ; il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente , nonché del restante personale impiegato; i tempi di attuazione del programma di mobilità; le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma; il metodo di calcolo delle eventuali attrribuzioni patrimoniali diverse da quelle previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva (i superminimi).
Le eventuali carenze della comunicazione, per falsità, genericità, mera ripetizione dei motivi che avevano indotto alla c.i.g., ecc. comportano l’inefficacia dei licenziamenti.
Costo della procedura
A questa comunicazione va allegata la copia della ricevuta del versamento all’INPS di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale per il numero dei lavoratori eccedenti.
Ciò vale però solamente per le imprese che rientrano nel campo di applicazione della indennità di mobilità, escluse quindi, ad esempio, le imprese edili.
Tale somma costituisce anticipazione dell’onere per il datore di lavoro previsto per accedere alla procedura, che è pari a 6 volte la somma suddetta per le aziende che procedano a riduzioni di personale dopo un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria, ridotta a 3 volte in caso di raggiungimento dell’accordo con i sindacati (di cui si dirà oltre), versabile in trenta rate mensili.
Se tuttavia l’azienda che procede ai licenziamenti non ha effettuato la C.i.g.s., il costo suddetto diventa di 9 volte la somma suddetta, sempre riducibili a 3 in caso di accordo aziendale.
In caso di riduzione successiva del numero di esuberi programmati, la somma versata eventualmente in eccesso si recupererà mediante conguaglio nei versamenti successivi.
L’esame congiunto
Entro 7 giorni dalla comunicazione le r.s.a. o i sindacati possono chiedere di esperire un esame congiunto della situazione.
La fase di consultazione deve esaurirsi nel termine di 45 giorni.
In caso di esito negativo di essa, la Direzione Provinciale del Lavoro convoca le parti, formulando proposte; tale fase ulteriore deve esaurirsi entro 30 giorni dalla comunicazione alla D.P.L..
Questi due termini (45 + 30 = 75) sono ridotti alla metà (quindi per un totale di 38 giorni) se le eccedenze programmate sono inferiori a dieci.
La fase di esame congiunto, rispetto alla quale il datore di lavoro ha solamente un obbligo di contrattare lealmente, ma nessun obbligo di raggiungere un accordo, è finalizzata a consentire un vaglio delle eventuali possibilità alternative ai licenziamenti (assegnazione a mansioni diverse, distacchi, trasferimenti, riduzioni di orario, contratti di solidarietà, riqualificazione dei lavoratori o riconversioni produttive, ecc.).
Se più d’uno fossero i sindacati che chiedono l’esame congiunto, il datore di lavoro può procedere ad esso anche a tavoli separati (Pret. Ravenna 4.8.1995, LG, 1996, 50).
Nella pratica, spesso accade che si convochino preventivamente r.s.a. e/o sindacati e, una volta raggiunto l’accordo con essi e stilato il relativo verbale, si dia avvio ai passi formali della procedura.
Ciò anche perché “la conclusione dell’accordo dovrebbe rendere inattaccabile la procedura da parte dei sindacati firmatari e dei loro iscritti, fondando altresì nei confronti di chiunque una presunzione di correttezza della procedura e di sussistenza dei presupposti sostanziali del licenziamento collettivo”.
L’eventuale accordo con i sindacati, oltre a consentire lo sconto notevole del costo della procedura visto sopra, può permettere altresì una dilazione del termine di 120 giorni per la intimazione dei licenziamenti (art. 8 L. 236/93).
I criteri di scelta
La selezione dei licenziandi viene operata dal datore di lavoro, in autonomia, al termine della procedura; essa deve tuttavia rispettare i criteri previsti dai contratti collettivi di lavoro (compreso, eventualmente quello aziendale, concluso in sede di esame congiunto) o, in mancanza, dalla legge.
La legge prevede i seguenti criteri: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
I criteri possono concorrere tra loro; è aperta la questione se uno dei criteri possa prevalere sugli altri, in particolare se possa darsi prevalenza al criterio delle esigenze tecnico produttive o organizzative: molte sentenze affermano che i criteri debbono operare in concorso fra loro; tuttavia si è giunti anche a riconoscere che le esigenze tecnico produttive o organizzative possono prevalere sulle altre, purchè non sottendano intenti elusivi o discriminatori o la prevalenza sia comunque motivata con fattori obiettivi .
In ogni caso “la comparazione non è dovuta, in quanto per definizione impossibile, per gli addetti a posizioni uniche: Cass. 15 aprile 2004 n. 7221, GL, 2004, n. 27, 46. Lo stesso vale allorché siano soppresse tutte le posizioni di un certo tipo esistenti in azienda”.
Nel senso che i criteri di scelta possono essere fissati anche nello specifico accordo collettivo aziendale con i sindacati , di chiusura della procedura, confronta Cass. 24 marzo 1998 n. 3133 e la circ. Min. Lav. 16.12.1996 n. 168: una volta così fissati, essi devono ovviamente essere poi rispettati.
Ovviamente i criteri devono rispettare requisiti di obiettività, imparzialità e generalità, in coerenza con le finalità dell’istituto.
Ammissibile, per esempio, il criterio della maggior prossimità al pensionamento.
La scelta dei lavoratori da licenziare non può essere limitata nell’ambito di uno o più reparti specifici dell’azienda, se non ricorrono esigenze tecnico produttive che giustifichino tale limitazione.
L’intimazione dei licenziamenti
Al termine, il datore di lavoro, anche in assenza di accordi di alcun tipo, può intimare i licenziamenti, in forma scritta e dando il preavviso previsto dal c.c.n.l..
Nella lettera a ciascun dipendente non è necessaria una motivazione estesa e dettagliata, bastando anche una succinta indicazione per relationem , considerato che è nelle comunicazioni agli Uffici pubblici ed ai sindacati, descritte appena oltre, che occorre invece la specificazione dei motivi e dei criteri di scelta adottati.
Le comunicazioni finali
Infine, contestualmente all’intimazione dei licenziamenti , il datore di lavoro deve comunicare per iscritto ai competenti uffici pubblici (Ufficio Regionale del lavoro e della massima occupazione e Commissione Regionale per l’impiego) nonché ai sindacati l’elenco dei lavoratori licenziati con una serie di dati individuali (cfr. il comma 9 dell’art. 4 L. 233/1991) e con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta.
Bisogna fare quindi una sorta di graduatoria di tutti i dipendenti, anche quelli non licenziati, che consenta di individuare con chiarezza le modalità di applicazione dei criteri di scelta individuati.
L’omissione, incompletezza, genericità o tardività della comunicazione in esame è, anche in questo caso, sanzionata con l’inefficacia dei licenziamenti.
Conegliano, lì 10 marzo 2010.
Avv. Pietro Scudeller
(L’articolo originale è corredato delle note, che qui non è possibile inserire)
(riproduzione riservata)

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