Gen 10

Licenziamento illegittimo ma niente reintegra

Licenziamento illegittimo ma niente reintegra

Prima ordinanza corretta, del Tribunale di Milano, sul nuovo art. 18 Stat. Lav. dopo la Riforma Fornero

Con new del 6.12.2012 avevamo dato conto della ordinanza di un giudice di Bologna che aveva reintegrato un lavoratore licenziato; s’era criticata aspramente quell’ordinanza, per un’applicazione ritenuta distorsiva della riforma Fornero, quasi che la stessa non fosse intervenuta.
Ora una ordinanza del Tribunale di Milano (28 novembre 2012, di cui da notizia Il Sole 24 Ore del 6 gennaio u.s.), fa invece corretta applicazione della riforma, dimostrando la correttezza delle tesi di critica, espresse anche dal sottoscritto, alla precedente ordinanza felsinea.
Nella fattispecie un lavoratore veniva licenziato per soppressione del suo posto di lavoro, a seguito di cessazione di appalto. La circostanza dell’avvenuta, reale soppressione del posto di lavoro veniva dimostrata in giudizio e non contestata. Tuttavia il lavoratore contestava che il motivo del licenziamento fosse in realtà ritorsivo, e quindi discriminatorio, per essersi lo stesso rifiutato di firmare una lettera di dimissioni; inoltre che comunque non gli era stato offerto un posto di lavoro diverso in altra parte dell’azienda (così detto obbligo di “repechage”, “ripescaggio” del lavoratore).
Il Giudice, accertato che effettivamente il datore di lavoro non aveva dimostrato di non poter adibire il lavoratore ad altro posto di lavoro, ha ritenuto illegittimo il licenziamento, ma, e qui sta la novità, anziché condannare l’azienda (con più di 15 dipendenti) alla reintegrazione effettiva del lavoratore in azienda, si è limitato a condannarla a pagargli un risarcimento economico, che determinava, tra le 12 e le 24 mensilità di retribuzione previste dalla riforma Fornero, in 20 mensilità.
Il Tribunale ha ritenuto inoltre non provata dal lavoratore la natura discriminatoria del licenziamento, potendosi escludere sicuramente il motivo illecito di ritorsione come unico e determinante del licenziamento, nel momento in cui si accertava che sussisteva la diversa causa, addotta dal datore di lavoro, della avvenuta, reale soppressione del posto di lavoro.
Emerge dunque, finalmente, con tale ordinanza, una prima corretta applicazione, a parere del sottoscritto, della riforma Fornero, che, appunto, se correttamente interpretata, limita la sanzione più grave della reintegrazione effettiva nel posto di lavoro ai soli casi di licenziamento illegittimo nei quali il motivo addotto dal datore di lavoro per il licenziamento sia palesemente, manifestamente insussistente.
L’esatta interpretazione data dal giudice milanese alla riforma Fornero consente dunque di ben sperare circa il consolidamento, fra i giudici, di questa corretta interpretazione della L. 92/2012, che permette di considerare davvero riformato profondamente l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, nel senso del tendenziale abbandono dell’anacronistico ed eccessivo rimedio della reintegrazione, a favore di un più moderno sistema di sanzioni, prevalentemente economiche, così come avviene nella maggiorparte dei Paesi europei (si tenga presente che, nel regime previgente, oltre alla reitegrazione, era comunque dovuto un risarcimento economico pari alle mensilità perdute dal lavoratore dal licenziamento fino alla reitegra, con il minimo di 5 mensilità).
L’ordinanza fa giustizia inoltre dei diffusi timori per cui i lavoratori avrebbero sempre potuto far valere, con facilità, un qualche motivo illecito che, dando natura discriminatoria al licenziamento, consentisse loro di far valere il diritto alla reintegrazione: se infatti il motivo addotto dal datore di lavoro sussiste e non è pretestuoso, tale rischio, sulla scorta della pronuncia qui commentata, è scongiurato.
Avv. Pietro Scudeller
(riproduzione vietata)

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